25 gennaio 2019 Auditorium, Palazzo Branciforte, Fondazione Sicilia. Via Bara all’Olivella,2 – Palermo
Buongiorno a tutti.
Mi unisco innanzitutto ai doverosi ringraziamenti alla Fondazione Sicilia e alla Fondazione Luigi Einaudi con il suo presidente per aver organizzato questo importante evento in questa città, che con la Sicilia tutta può sicuramente vantare, oltre che una storia millenaria, anche un ruolo importante per le vicende del Mediterraneo e dell’Europa. Ci troviamo dunque a parlare di Mediterraneo qui a Palermo in un convegno che ha lo scopo di ampliare il più possibile quel “raggio di azione di energie costruttive” sulla scia del cosiddetto “Spirito di Palermo” lanciato con il summit sulla Libia dello scorso novembre. Ed è sicuramente un piacere essere qui insieme a molti amici con cui già da tempo, anche con il Mediterranean Forum di Roma, si sta collaborando per promuovere un’agenda positiva del Mediterraneo, sui temi della crescita, della sicurezza, della stabilità e dell’identità, necessaria per recuperare una dimensione politica adeguata per affrontare le sfide urgenti che l’area del mediterraneo in modo sempre più impellente sta ponendo. Tra l’altro, anche grazie al loro prezioso contributo, nei prossimi giorni verrà dato alle stampe il report 2018 del Mediterranean forum di Roma che sarà pubblicato con la Fondazione Roma Sapienza per la sezione cooperazione internazionale ed ovviamente sarete tutti prontamente informati ed invitati all’evento di presentazione che sarà organizzato per fine marzo a Roma.
Oggi l’area del Mediterraneo rappresenta senza dubbio un quadrante regionale su cui si focalizza, in una vorticosa competizione geopolitica, l’interesse delle maggiori potenze economiche e militari della terra, le cui continue dinamiche conflittuali collocano quest’area all’ interno di una dimensione strategica che valica gli stessi confini regionali ponendo il Mediterraneo al centro della scena mondiale. Parlare di Mediterraneo dunque significa dover innanzitutto prendere atto del profondo mutamento del semplice concetto geografico che, con un continuo allargamento, è arrivato a coinvolgere nei suoi fenomeni di crisi zone sempre più ampie, disegnando una vasta area che include, oltre le sponde mediterranee, anche il Golfo Persico, il mar nero, i Balcani e l’Africa sub sahariana.
Nello scenario attuale il Mediterraneo, come mare tra le terre, sta perdendo, quella sua tradizionale connotazione di zona di cooperazione e di scambio, configurandosi sempre di più come uno spazio destrutturato, sottoposto a vincoli di tipo militare e di sicurezza, e soprattutto continuando a degradare nella diffusa percezione europea a mera zona di separazione da aree di guerra, instabili e pericolose da dove provengono solo minacce terroristiche e continui flussi migratori.
Per molto tempo, e necessariamente, il dibattito è stato monopolizzato proprio dal tema delle migrazioni, che sta mettendo inesorabilmente l’unione europea di fronte alle proprie responsabilità per una gestione completamente inadeguata e miope di questo fenomeno di crisi, e le continue tensioni tra stati europei degli ultimi tempi, anche rispetto alle legittime posizioni assunte dal governo italiano rispetto ad una ondata migratoria fuori controllo e insostenibile, rappresentano una vera e propria cartina al tornasole di tutti gli annosi ed irrisolti problemi in seno all’Unione Europea.
Un imponente fenomeno di crisi quello delle migrazioni certo, ma come per tutti i fenomeni che sono solo l’effetto di cause ben precise, è necessario anche qui focalizzarsi sulle cause che danno origine a queste migrazioni di massa, proprio per riuscire, in una rinnovata dimensione politica europea, a costruire una necessaria ed efficace strategia di ampia visione che intervenga, appunto, sulle cause e quindi sui veri problemi del mediterraneo.
Una strategia di ampia visione, dunque, per una profondità strategica del mediterraneo, orientata alla stabilità e alla sicurezza, da costruire e rafforzare con gli altri stati e partendo proprio dalle affinità culturali, valoriali, politiche e strategiche; su di un piano che però non può prescindere dal rispetto reciproco della sovranità e in una logica di sviluppo comune, con investimenti sostenibili che valorizzino le peculiarità e le potenzialità dell’area del Mediterraneo, ma anche e soprattutto attraverso una responsabile cooperazione politica a limitazione dell’interesse prettamente orientato sull’asse economico e dei sempre più contrapposti interessi dei singoli Stati europei rispetto ai paesi dell’area africana. Anche perché la ricerca di una profondità strategica basata solo sulle esigenze di sicurezza di un singolo stato o su una modalità unilaterale di accesso alle risorse naturali ha sempre rappresentato la causa principale di conflitti ed instabilità, e proprio nel mediterraneo purtroppo ne abbiamo dei chiari e tristi esempi.
Investimenti sostenibili e cooperazione politica perché il futuro dell’Europa è anche nel rapporto con il Sud, non solo con il Mediterraneo in senso stretto, ma con tutto il continente africano nel suo senso allargato. Si conosce infatti ormai da tempo e perfettamente quale sia la portata della pressione demografica che incombe dall’Africa, che con le condizioni economiche e sociali attuali, ed anche per la mancanza di stabilità, non è in grado di assorbire e trattenere questa fetta di popolazione mondiale. Si tratta di una sfida cruciale che dovrà essere affrontata proponendo nuovi modelli per la stabilizzazione di quelle società, attuando progetti condivisi e assicurando il contributo di un’Europa che però deve necessariamente presentarsi coesa all’appuntamento. In quest’ottica sviluppare le potenzialità del mediterraneo quale piattaforma condivisa di connessione strategica sul piano infrastrutturale, dei trasporti e delle reti logistiche può dare sicuramente un impulso importante in una prospettiva di un rafforzamento e consolidamento della sponda sud proprio per la sua delicata funzione geopolitica di fascia a ridosso dell’Africa subsahariana. C’è da aggiungere inoltre che sono sicuramente coerenti con questa visione anche i programmi di diversificazione economica per la realizzazione di nuovi modelli per una transizione energetica sostenibile finalizzati principalmente ad un aumento della produzione e dell’uso di energia da fonti rinnovabili in tutta la regione euro-mediterranea, coerenti soprattutto per l’alto impatto che possono avere in prospettiva sulla capacità di indipendenza energetica degli stati.
Ma guardando proprio i macro-fattori che vengono sempre presi in considerazione ed intorno ai quali ruota l’attività degli analisti e dei ricercatori e cioè la crescita, la sicurezza e la stabilità, quest’ultima, la stabilità, come condizione di assenza di crisi e tensioni sia interne che esterne agli stati, si deve certamente considerare la più importante delle tre. È con la stabilità infatti che si possono creare le basi, di una società sicura, di solide relazioni internazionali, e mettere anche i presupposti per la crescita economica. È importante dunque affrontare l’argomento soprattutto in termini di stabilità delle società e degli stati prima che dal punto di vista economico e di sicurezza anche in funzione del fatto che crescita e sviluppo sono due concetti differenti e la crescita economica diventa sviluppo se c’è uno stato stabile con i suoi confini, con le sue leggi e con il controllo del territorio. Un esempio evidente sono i molti paesi africani dove, negli ultimi anni, pur essendoci una forte crescita in termini di punti percentuali di PIL nettamente superiore anche agli stessi paesi occidentali, intere masse di popolazioni continuano ad abbandonare l’Africa per spostarsi verso il Mediterraneo e l’Europa.
L’Africa sta vivendo proprio questa particolare contraddizione, e cioè, quella di essere una terra da cui la propria popolazione fugge, mentre è sempre di più al centro dell’interesse delle potenze economiche sia occidentali che asiatiche e che diffusamente continua ad essere considerato il “continente del futuro”. Gli ulteriori 60 miliardi di dollari di investimenti sull’Africa annunciati a settembre 2018 dal presidente della Repubblica Popolare, Xi Jinping, di fronte a 50 capi di stato dei paesi africani, durante il terzo Forum on China-Africa Cooperation, danno il senso di quanto sia significativo questo l’interesse ad esempio per la Cina che già da anni, all’interno del macro progetto One belt one Road, ha avviato questa strutturata e sistematica politica d’investimenti verso l’Africa di cui, tra l’altro, sarebbe necessario valutarne attentamente la reale portata e l’impatto sui singoli stati destinatari degli investimenti.
Il Mediterraneo, e potrebbe sembrare questo veramente un paradosso vista la situazione politica europea attuale, rappresenta, proprio in questo scenario così critico, un’opportunità, ma questa opportunità può essere colta solo attraverso la costruzione di una nuova visione geopolitica euro-mediterranea che passa necessariamente attraverso il recupero da parte dell’Europa di quel rapporto privilegiato con il suo mare diventato ormai un mare sempre più globalizzato anche nei suoi conflitti bellici; lo scenario siriano ci fornisce una perfetta fotografia di questa situazione. Un’opportunità per l’Europa e soprattutto per l’Italia per riacquisire nuovamente quel senso più alto della storia e quella consapevolezza delle sue più profonde e millenarie radici di civiltà, per cessare di essere solo una centralità geografica e tornare a rappresentare nuovamente, quel centro del mondo euro-mediterraneo intorno a cui anche il mare nostrum era un continuo fiorire di civiltà, popoli e culture; una consapevolezza, questa, assolutamente necessaria e vitale per l’Italia, per potersi assumere la responsabilità del ruolo di promotore di una regia finalizzata alla condivisione, allo scambio, alla cooperazione ed alla stabilità con un approccio che, tenendo comunque ben presente che i rapporti tra gli stati sono sempre rapporti di forza, definisca un ruolo di pace dell’Italia nel Mediterraneo e una funzione di mediatore tra il mondo occidentale e quello arabo. Un’opportunità questa da cogliere partendo proprio dalla Libia, poiché la stabilizzazione della Libia, fondamentale per gli equilibri regionali e per gli interessi strategici italiani, rappresenterebbe quel passo necessario per un ritorno da protagonista dell’Italia nel Mediterraneo in tempi che si preannunciano per i prossimi anni ancora più turbolenti per i continui venti di guerra che agitano le acque del nostro mare.